Israele, Russia e Cina. Con la vittoria di Donald Trump nelle elezioni del 2024, si apre un capitolo politico che non solo ridefinisce gli equilibri interni degli Stati Uniti ma influenza profondamente le relazioni internazionali, in particolare con l’Europa. Dopo anni di dibattiti e di scontri ideologici, la leadership di Trump segna una svolta radicale, basata su un messaggio di riscatto e autodeterminazione che ha raccolto un consenso decisivo in Stati chiave. Gli elettori, disillusi dalle promesse di riforma dei democratici, sembrano aver scelto nuovamente “The Donald” come simbolo di una politica esterna muscolare e di una gestione interna orientata alla deregolamentazione e alla crescita economica. Una vittoria che riflette una polarizzazione profonda della società americana, ma anche una trasformazione in atto nella base elettorale repubblicana, con una crescente partecipazione di gruppi demografici tradizionalmente meno coinvolti, come le comunità ispaniche e afroamericane, che hanno trovato nel Tycoon una figura capace di rispondere alle proprie aspettative di sicurezza economica e identitaria.
La sconfitta dei democratici, che presentavano una candidata di grande esperienza come Kamala Harris, sembra imputabile a diversi fattori. Da un lato, la percezione di una leadership debole e frammentata, incapace di offrire una visione unitaria in grado di galvanizzare l’elettorato. Dall’altro, la strategia di demonizzare costantemente l’avversario potrebbe aver avuto l’effetto opposto (Berlusconi docet), rafforzando la narrativa dell’outsider perseguitato dall’establishment e reso più forte dai suoi oppositori. In tale contesto, le politiche di riforma sociale e l’impegno ambientale della Harris hanno faticato a competere con le promesse dirette di Trump su lavoro, sicurezza e controllo delle frontiere, temi che sono stati determinanti per il voto nelle aree rurali e nei distretti industriali.
Per l’Europa, il ritorno del “former President” comporta una sfida complessa e multiforme. Le sue posizioni intransigenti su commercio e difesa potrebbero significare un periodo di incertezza nelle relazioni transatlantiche, con una probabile revisione degli accordi commerciali e una pressione maggiore sugli alleati NATO affinché aumentino i loro contributi alla difesa comune. Tuttavia, gli Accordi di Abramo, promossi durante la sua precedente amministrazione, rappresentano un importante pilastro diplomatico che potrebbe favorire una stabilità geopolitica nel Medio Oriente. L’Europa potrebbe trarre vantaggio dalla nuova fase diplomatica, sfruttando una possibile distensione tra Israele e i Paesi arabi per promuovere nuove sinergie economiche e aumentare il flusso commerciale nella regione, con potenziali benefici anche per il settore energetico e la stabilità regionale. Ovviamente tutti ce lo auguriamo, provando a vedere il bicchiere mezzo pieno.
A livello geopolitico, comunque, Trump ha sempre mantenuto una posizione ambigua verso la Russia e un approccio critico verso la Cina, che si prevede continuerà a definire la sua linea estera. Una posizione che inchioda in qualche modo l’Europa: divisa tra l’esigenza di mantenere un rapporto strategico con Washington e la necessità di salvaguardare l’autonomia politica ed economica. Paesi come la Germania e la Francia, che aspirano a un ruolo di maggiore indipendenza internazionale, potrebbero trovarsi in difficoltà a bilanciare il rapporto con un Presidente che, in passato, ha dimostrato poca tolleranza per le deviazioni dalla linea americana. L’UE potrebbe essere quindi chiamata a rafforzare la politica estera comune, costruendo alleanze più solide all’interno del blocco per fronteggiare un’America nuovamente assertiva e meno disposta al compromesso.
La vittoria di Trump rappresenta, in ultima analisi, un segnale di risveglio della destra populista globale e un campanello d’allarme per quelle democrazie che speravano in un ritorno alla normalità dopo l’elezione di Joe Biden. E, appare ormai evidente, gli elettori americani non sono ancora pronti per una Presidente donna. Ora l’Europa dovrà scegliere tra l’adattarsi alla nuova visione americana o proseguire per una strada di indipendenza, pur sapendo che tale scelta comporterà sacrifici e rischi. Nella consapevolezza che il dialogo con gli Stati Uniti resta fondamentale per la stabilità globale. Trump ha saputo cogliere il desiderio di molti americani di ritrovare un’identità forte e protetta; starà ora al Vecchio Continente rispondere a questa sfida con altrettanta decisione e coesione.
David Oddone
(La Serenissima)