Pare davvero incredibile che un Paese nella top ten degli Stati più ricchi del mondo, fino a mezzo secolo fa pativa la fame. Lo racconta Verter Casali nella sua ultima pubblicazione dal titolo “Il pane e la fame dei sammarinesi – Storia di un passato di indigenza”. Il libro, editato dalla Fondazione XXV Marzo è stato presentato ieri pomeriggio, 20 ottobre, in una sala Montelupo strapiena di gente. Tutti hanno potuto riceverne una copia in omaggio. C’è sempre una grande accoglienza e una grandissima attenzione per questo prolifico storico sammarinese, che dopo un passato di docenza e numerose pubblicazioni, continua a dedicarsi con passione alla ricerca storica sammarinese.
Accanto a lui: Olga Carattoni, presidente della Fondazione XXV Marzo, nata nel 1997 da una costola della Titancoop per portare avanti progetti di alto profilo culturale e di conservazione della memoria, tra cui la classificazione degli archivi documentali forniti da privati e anche dal sindacato. Quello della CSDL è stato digitalizzato per oltre la metà e messo a disposizione dell’utenza.
Al tavolo dei relatori, anche il professor Tito Menzani, docente di storia economica a Unibo e Unimore; e il presidente della Titancoop Mauro Fiorini.
Il testo di Casali, come sempre ricchissimo, approfondito e rigoroso prende in esame il contesto sociale attraverso oltre 7 secoli di storia, che è in gran parte storia di un’indigenza durata più o meno fino agli anni ’60 del secolo scorso. Secondo una stima piuttosto attendibile, ha raccontato Casali, alla fine del ‘700 San Marino contava una popolazione di 3 / 4 mila residenti. Il censimento del 1865 ne contò 7mila, quasi tutti analfabeti. Alla fine dell’800, erano 9mila. Negli anni ’40 del secolo scorso erano 12mila e solo dopo gli anni ’50 sono arrivati a 15 mila, per toccare 33mila agli inizi del 2000.
Una progressione che, di per sé, dimostra quanto il progresso e il miglioramento delle condizioni di vita, lentissimi nella loro evoluzione, abbiano contribuito all’aumento della popolazione. Secoli e secoli di storia segnati dal problema del pane quotidiano, che non c’era. Solo una ristrettissima élite aveva cibo a sufficienza, il resto della popolazione viveva di agricoltura, quasi sempre a mezzadria, ovvero con la metà del raccolto devoluto obbligatoriamente al padrone. Era un’attività legata al clima: bastava una grandinata a distrugger il raccolto, senza che venisse diminuita la quota da versare al padrone. Le tecniche di coltivazione erano arretratissime e scarsamente produttive. Con questo sistema economico, tra l’altro sempre refrattario all’introduzione di innovazioni, la fame era garantita. Fino agli inizi del Novecento, l’80% della popolazione era costituita da una forza lavoro legata al lavoro dei campi. Negli anni ’50 era calata al 40%, negli anni ’70 era ridotta al 4%. Lì è iniziata la metamorfosi grazie ai soldi degli emigrati, al boom turistico e al differenziale fiscale.
Ma fino al quel momento si era sempre mangiato poco e male, il pane era l’alimento fondamentale, tanto che le regole per il suo confezionamento e la sua vendita si trovano già negli Statuti del 1300. Le autorità di governo hanno sempre promosso una sorta di “prezzo politico” per il pane. In antico ci voleva 1 baiocco (che era l’unità monetaria più piccola) per una pagnotta di 14 once, poi nell’800 lo stesso prezzo valeva appena 2 once di pane perché i prezzi erano aumentati.
“La storia del popolo sammarinese è una storia di sopravvivenza” ha precisato Casali, sottolineando come già dalla fine dell’800 cominciò una migrazione perenne. E qui nacque la SUMS che decise di istituire un deposito di grano per aiutare chi aveva bisogno di fare il pane a basso prezzo e poi costruì un forno che si rivelò fondamentale durante la Seconda Guerra Mondiale per sfamare centomila rifugiati. L’unico periodo in cui non si parla di fame, né di pane, è stato il famoso Ventennio. Il ricercatore non ha trovato alcun documento che riguardasse la materia, mentre in passato si susseguivano spesso istanze d’arengo alla Reggenza (che all’epoca si chiamavano “suppliche”) per chiedere il miglioramento della qualità del pane e il divieto all’esportazione del vino, per evitare di ridurne le scorte e, di conseguenza, l’aumento del prezzo. Quello di Borgo era molto rinomato e venivano in tanti a comprarlo da fuori.
Pane e vino, la base dell’alimentazione della popolazione più povera. Qualcosa che forse non appartiene alle nuove generazioni. Il progresso, la modernità, le nuove mode, hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vivere e di nutrirci; ma le speculazioni, le adulterazioni chimiche, l’inquinamento dilagante, le guerre sempre più cruente, potrebbero cambiare il corso della storia. Forse è meglio non dimenticare l’antica preghiera: Signore, dacci oggi il nostro pane quotidiano…
Angela Venturini