San Marino. Di cosa è fatta la speranza, un libro che racconta le buone pratiche per sconfiggere la sofferenza dei malati terminali … di Angela Venturini

Un tempo, gli ammalati terminali morivano di dolore, abbandonati da tutti. Durante la II Guerra Mondiale, trascorrendo infinite notti in corsia, una giovane infermiera vede morire tra indicibili sofferenze tantissimi ragazzi belli e coraggiosi, suoi coetanei.  Sa di non poter fare nulla per loro, se non ciò che i medici prescrivono, eppure si rende conto con orrore che per un medico ogni moribondo è una causa persa. Lei si chiama Cecily Saunders e in quelle terribili condizioni comincia a fare una cosa a cui dedicherà la vita intera: annotare i tentativi e i fallimenti, le intuizioni, le buone pratiche che consentono di lenire la sofferenza di chi non è più guaribile. Non scopre nulla di nuovo, ma inventa un nuovo modo di somministrare le medicine. Sta qui la sua grandezza. 

Finita la guerra, diventa assistente sociale, ma capisce che non basta e quindi si laurea in medicina a 39 anni. Nel 1967 fonda il St. Christopher hospice, considerato il primo hospice moderno, che non sarà mai inteso come la sala d’aspetto della camera mortuaria, ma un nuovo modo di stare davanti alla verità di una persona. 

La vita di Cecily Saunders, il cui nome è sinonimo della nascita delle cure palliative moderne a partire dal movimento hospice, è stata raccontata da Emmanuel Exitu in un libro dal titolo eloquente: “Di cosa è fatta la speranza” Bompiani editore. Il libro è stato presentato in un’affollata serata a Borgo Maggiore, organizzata dalla Cooperativa culturale “Il Sentiero”, sotto gli auspici della Segreteria di Stato alla Sanità e la collaborazione di altre associazioni. Accanto all’autore, il dottor Marco Maltoni, direttore UO cure palliative AUSL Romagna, tra i più autorevoli specialisti del settore; e il dottor Mario Nicolini, direttore del reparto di Oncologia dell’Ospedale di Stato. 

Dal dolore nessuno si salva, ha stanato perfino Dio. Ma si può dare un senso al dolore? Ammesso che il dolore abbia senso. Però si può pensare di fare del bene. E qui nascono le cure palliative di Cecily. Una parola la cui etimologia risale al pallio, un manto rettangolare che in tempi antichi copriva e riscaldava dal freddo dell’inverno. Immediato il riferimento al miracolo di san Martino, protettore di questa nuova metodologia di cura. L’11 di novembre diventa la giornata nazionale delle cure palliative.

Cecily è una donna caparbia e rivoluzionaria, ribalta il paradigma del dolore riconoscendo la dignità delle persone, che è un diritto inalienabile. La vita può essere migliorata fino alla fine. Non solo, il suo metodo per affrontare la malattia e il dolore, diventa fonte di ispirazione per una nuova medicina che pone al centro del proprio operato non la malattia ma l’uomo. “Non curo più un cancro ai polmoni, ma curo l’uomo che ha anche un cancro ai polmoni” ha spiegato il dottor Nicolini. Riguardo alla creazione di un hospice a San Marino, siamo fermi al finanziamento avvenuto oltre un anno fa, ma ancora bloccato negli adempimenti burocratici. 

Oggi le cure palliative sono una realtà scientifica, che abbraccia la totalità del paziente. In medicina si parla di dolore globale, che abbraccia la sfera fisica della persona, quella psichica, relazionale, familiare e perfino spirituale. Perché ogni persona è importante fino alla fine e perché come, scriveva Emily Dickinson, la “Speranza” è quella cosa piumata che si viene a posare sull’anima, canta melodie senza parole e non smette mai. 

Angela Venturini