Il Segretario CSdL fa chiarezza anche sui numeri: leggendo i bilanci dell’ISS, emerge che dal 2015 al 2022 i crediti non esigibili nel primo pilastro ammontano a 7,2 milioni. Si tratta di una cifra considerevole. Ribadito il principio secondo cui le aziende che non pagano da anni e non hanno beni da mettere in garanzia vanno fermate per tempo
Oggetto di una interpellanza e di un progetto di legge presentato da un partito attualmente all’opposizione, anche negli ultimi tempi è stato riproposto pubblicamene il problema degli ammanchi nei contributi ISS, per un importo che sarebbe pari a 15 milioni di euro, di cui un terzo nella gestione separata. La Segreteria di Stato per la Sanità, a seguito di queste iniziative, ha reso noti alcuni numeri relativi ai contributi dovuti ma non versati all’ISS. Sulla questione, che la CSdL denuncia da molto tempo, è intervenuto il Segretario CSdL Enzo Merlini nell’ultima puntata di “CSdL Informa”. “Rispetto alle cifre che sono state fornite – ha commentato Enzo Merlini – è giusto anche sottolineare cosa risulta nei bilanci dell’ISS: dal 2015 al 2022 i crediti di dubbia esigibilità relativi al primo pilastro ammontano a 7,2 milioni. Quindi c’è una certa discrepanza tra i numeri resi pubblici e quelli che sono a bilancio, dovuta presumibilmente al fatto che la gestione separata non è compresa e da sola vale oltre 5 milioni di contributi non pagati. Sul primo pilastro, gli ammanchi sono quindi pari a circa un milione all’anno, su un totale di entrate pari a circa 140 milioni annui, di cui 126 nel Fondo lavoratori dipendenti. Si tratta di cifre considerevoli in valore assoluto, ma non in rapporto al bilancio complessivo. Le norme si possono e si devono migliorare per rendere più veloce ed efficace l’attività di recupero da parte di Banca Centrale: il progetto di legge prima ricordato può diventare l’occasione giusta per affrontare il problema. Può succedere che un’azienda non paghi i contributi all’ISS per 5-6 mesi perché è in difficoltà e concordi una rateizzazione. Succede spesso anche che chiuda i battenti; in questo ultimo caso sappiamo di avere perso i contributi di 5-6 mesi, se l’azienda non ha beni da aggredire per recuperare l’arretrato. Ma se un’azienda non versa i contributi per un periodo molto più lungo, anche tre anni, è ancora attiva e non ha garanzie da porre, che senso ha che continui ad operare? Noi ci siamo trovati di fronte ad imprenditori che non hanno pagato per anni contributi, monofase e imposte dirette, che hanno affermato di aver continuato a tenere aperta la loro azienda – pur sapendo che era destinata a fallire in quanto i beni sequestrati non avrebbero coperto gli arretrati – perché nessuno li ha fermati prima. Questo è il punto fondamentale: il nostro ordinamento dovrebbe prevedere un limite oltre il quale le aziende inadempienti non possono andare, salvo adeguate e concrete garanzie. E questo compete a chi ha il ruolo di esecutore dello Stato nel recupero delle somme spettanti all’ISS; una volta valutato che i crediti non sono esigibili da parte di determinate imprese, queste vanno fermate. Nella precedente occasione in cui abbiamo trattato l’argomento, abbiamo intitolato il comunicato ‘Le aziende da lungo tempo inadempienti vanno chiuse’. So che c’è stata qualche polemica sui social, accusandoci di voler chiudere le imprese. Noi non facciamo altro che ribadire il principio per cui le aziende ‘decotte’, o furbe, vanno fermate prima che il buco diventi enorme. Altrimenti, lamentarsi successivamente lascia il tempo che trova. L’alternativa, che noi preferiremmo, è stabilire che il capitale sociale deve essere realmente disponibile e proporzionato al giro d’affari dell’impresa. Lo sosteniamo da decenni ma, anche in questo caso, i Governi passano, si disinteressano e i buchi continuano ad allargarsi.”
CSdL