Come affrontare la rivoluzione digitale (di David Oddone)

Un po’ come tutti ho assistito alle polemiche che hanno investito il neoministro italiano alla cultura Giuli, accusato di avere esposto le linee programmatiche del ministero con un discorso criptico, tra citazioni letterarie e filosofiche, per i più incomprensibili. Tanto da scomodare il paragone con un mostro sacro, quell’inarrivabile Tognazzi in “Amici miei” con la sua supercazzola.

Lungi da me voler entrare in un campo, quello della filosofia, che non mi appartiene. Di certo però, ascoltando con attenzione le parole di Giuli, ho trovato molti spunti interessanti che vale la pena condividere, essendo temi di strettissima attualità che spesso e volentieri affronto nei miei editoriali.

Ma che cosa ha detto Giuli di così misterioso e imperscrutabile? Ecco qua: “Con la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare. L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della iper-tecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia”.

Ebbene l’evoluzione tecnologica, come ogni grande trasformazione, porta con sé sia entusiasmi, sia timori. Da un lato, guardiamo alle nuove tecnologie come una promessa di progresso, un’opportunità di semplificare e migliorare la nostra vita. Dall’altro, emergono dubbi e paure, legati a come questi strumenti possano erodere diritti fondamentali come la privacy o aumentare il controllo sociale.

Il discorso del ministro italiano può essere visto come una riflessione su tale dualismo. Capita di trovarsi a oscillare tra due estremi: da una parte l’entusiasmo passivo, che ci fa abbracciare la tecnologia senza valutare criticamente i rischi, dall’altra l’apocalittismo difensivo, che considera ogni innovazione come una minaccia alla nostra umanità. Se, però, smettiamo di vedere le tecnologie come forze totalmente benefiche o distruttive, possiamo forse raggiungere un equilibrio. La rivoluzione digitale ha cambiato profondamente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarci. Non possiamo negare che strumenti come i social media abbiano aperto nuove vie di comunicazione e dato voce a milioni di persone.

Eppure, l’entusiasmo per questi strumenti ha oscurato i problemi legati alla privacy e alla sicurezza dei dati personali. Le informazioni che condividiamo, i nostri gusti, le nostre abitudini, i nostri spostamenti, tutto viene registrato e analizzato da piattaforme che promettono servizi migliori in cambio dei nostri dati. È evidente che la tecnologia ha reso molte cose più semplici, ma a quale costo? Siamo diventati il prodotto di un sistema che guadagna su ciò che offriamo inconsapevolmente: la nostra vita digitale. Ma non si tratta solo di privacy. L’iper-tecnologizzazione ha conseguenze sull’equilibrio sociale. L’automazione, l’intelligenza artificiale e la robotica stanno trasformando settori interi, creando nuove opportunità, ma anche disuguaglianze e incertezze per milioni di lavoratori.

Siamo pronti a gestire il cambiamento? Oppure, nel nostro entusiasmo, stiamo ignorando l’impatto che queste trasformazioni avranno sulle persone? D’altro canto, esiste un timore eccessivo verso la tecnologia che ci impedisce di vedere i suoi benefici. Ogni volta che un’innovazione emerge, c’è chi rimpiange il passato, convinto che il mondo fosse migliore prima. Ma la nostalgia non è una soluzione. È facile idealizzare i tempi andati e vedere nelle nuove tecnologie solo il rischio di disumanizzazione. Tuttavia, il progresso tecnologico ha indubbiamente portato miglioramenti significativi nelle condizioni di vita, nella sanità, nella scienza e nell’istruzione. Pensiamo, ad esempio, all’avvento delle tecnologie mediche avanzate, che hanno salvato vite e migliorato le cure.

Per restare in tema, e per parafrasare il filosofo Karl Popper, non possiamo predire il futuro, ma possiamo tentare di influenzarlo. Dobbiamo imparare a non essere né ciechi sostenitori, né rigidi oppositori delle tecnologie. In un’epoca in cui l’infosfera pervade ogni aspetto della nostra vita, non possiamo permetterci di essere spettatori passivi. Il compito delle istituzioni, della politica e della società civile è vigilare affinché le tecnologie siano utilizzate per il bene collettivo e non per alimentare nuovi squilibri di potere. Ecco perché, al di là del linguaggio più o meno ermetico o troppo ricercato, ho apprezzato il richiamo di Giuli.

Le sfide che ci attendono sono complesse, e certamente conoscere il passato è imprescindibile. Ma come ripeto spesso, solo guardando avanti, con intelligenza e responsabilità, possiamo costruire un futuro in cui la tecnologia sia un’alleata e non una minaccia.

David Oddone

(La Serenissima)